Cos’è questo Caffè? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà questo foglio di stampa? Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi Autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi fogli? Con ogni stile, che non annoj. E sin a quando fate voi conto di continuare quest’Opera? Insin a tanto, che avranno spaccio. Se il Pubblico si determina a leggerli, noi continueremo per un anno, e per più ancora, e in fine d’ogni anco dei trentasei foglj se ne farà un tomo di mole discreta: se poi il Pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al terzo foglio di stampa. Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d’una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene, che possiamo alla nostra Patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri Cittadini, divertendoli, come già altrove fecero e Steele, e Swift, e Addison, e Pope, ed altri. Ma perché chiamate questi fogli "Il Caffè"? e lo dirò, ma andiamo a capo.
Un Greco originario di Citera, Isoletta riposta fra la Morea, e Candia, mal soffrendo l’avvilimento, e la schiavitù, in cui i Greci tutti vengono tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella Contrada, e conservando un animo antico malgrado l’educazione, e gli esempi, son già tre anni, che si risolvette d’abbandonare il suo paese: egli girò per diverse Città commercianti, da noi dette le scale del Levante; egli vide le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha, dove cambiò parte delle sue merci in Caffè del più squisito che dare si possa al mondo; indi prese il partito di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne in Milano, dove son già tre mesi, che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma. In essa bottega primieramente si beve un Caffè, che merita il nome veramente di Caffè: Caffè vero verissimo di Levante, e profumato col legno d’Aloe, che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo il più grave, l’uomo il più plombeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz’ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un’aria sempre tiepida, e profumata che consola; la notte è illuminata cosicché brilla in ogni parte l’iride negli specchi e ne’ cristalli sospesi intorno le pareti, e in mezzo alla bottega; in essa bottega, chi vuole leggere, trova sempre i foglj di Novelle Politiche, e quel di colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e varj altri: in essa bottega, chi vuol leggere, trova per suo uso e il Giornale Enciclopedico, e l’Estratto della Letteratura Europea, e simili buone raccolte di Novelle interessanti, le quali fanno che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi, o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei; in essa bottega v’è di più un buon Atlante, che decide le questioni che nascondono le nuove Politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti, che vi vedo accadere, e tutt’i discorsi, che vi ascolto degni di registrarsi; e siccome mi trovo d’averne già messi in ordine varj, così li do alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di Caffè. Il nostro Greco adunque (il quale per parentesi si chiama Demetrio) è un uomo, che ha tutto l’esteriore d’un uomo ragionevole e trattandolo, si conosce che la figura che ha gli sta bene, nella sua fisionomia non si scorge né quella stupida gravità che fa per lo più l’ufficio della cassa ferrata d’un fallito, né quel sorriso abituale, che serve spesse volte d’insegna a una timida falsità. Demetrio ride quando vede qualche lampo ridicolo, ma porta sempre in fronte un onorato carattere di quella sicurezza, che un uomo ha di se quando ha ubbidito alle Leggi.
L’abito Orientale, ch’ej veste, gli dà una maestosa decenza al portamento, cosicché lo credereste di condizione signorile, anziché il padrone d’una bottega di Caffè, e conviene dire, che vi sia realmente una intrinseca perfezione nel vestito Asiatico in paragone al nostro poiché laddove i fanciulli in Costantinopoli non cessano mai di dileggiare noi Franchi, qui da noi, non so se per timore, o per riverenza, non si vede che osino render la pariglia a i Levantini. Gli Europei, che si stabiliscono in quelle contrade vestono tutti l’abito o Armeno, o Greco, o talare in qualunque modo, né se ne trovano male, anzi rimpatriando risentono il tormento del nostro abito con maggior energia, in vece che nessun di casi, stabilendosi fra di noi nelle Città dove il commercio li porta, può risolversi a fare altrettanto[…]. Son pochi dì, dacché il nostro Demetrio ebbe occasione di parlar del suo mestiere, e ne parlò da maestro. Si trovavano nel Caffè un Negoziante, un Giovane studente di Filosofia, ed uno dei mille e ducento Curiali, che vivono nel nostro paese; io stava tranquillamente ascoltandoli, non contribuendo con nulla del mio alla loro conversazione.
Il Caffè è una buona bevanda, diceva il Negoziante, io lo faccio venire dalla parte di Venezia, lo pago cinquanta soldi la libbra, né mi discosterò mai dal mio corrispondente; altre volte lo faceva venire da Livorno, ma v’era diversità almen d’un soldo per libbra. V’è nel Caffè, soggiunse il Giovane, una virtù risvegliativi degli spiriti animati, come nell’oppio v’è la virtù assaporativa e dormitiva.
Gran fatto, replicò il Curiale, che quel legume del Caffè, quella fava ci debba venire sino da Costantinopoli! Qui Demetrio, il quale in quel punto era disoccupato, prese a parlare in tal modo:
Storia naturale del Caffè.
Il Caffè, Signori miei, non è altrimenti una fava, o un legume, non nasce altrimenti nelle contrade vicine a Costantinopoli; e se siete disposti a credere a me, che ho viaggiato ed ho veduto nell’Arabia i campi interi coperti di Caffè, vi dirò quello che egli è veramente. Il Caffè, che noi Orientali comunemente chiamiamo Couhè, e Cahua, è prodotto non da un legume, ma bensì da un albero, il quale al suo aspetto paragonasi agli aranci ed a’ limoni quand’hanno le loro radici fisse nel suolo, poiché s’alza circa quattro o cinque braccia da terra; il tronco di esso comunemente s’abbraccia con ambe le mani, le foglie sono disposte come quelle degli aranci, come esse sempre verdi anche nell’inverno, e come esse d’un verde bruno; di più l’albero del Caffè nella disposizione de’ suoi rami s’estende presso poco come gli aranci, se non che nella sua vecchiezza i rami inferiori cadono alquanto verso il pavimento. Il Caffè cresce, e si riproduce con poca fatica anche nelle terre, le quali sembrerebbero sterili per altre piante; e in due maniere si moltiplica e col seme (il quale è quell’istesso che ci serve per la bevanda) e col produrne di nuove pianticelle delle radici. È bensì vero, che il seme del Caffè diventa sterile poco dopo che è distaccato dall’albero, ed alla natura deve imputarsi, non alle pretese cautele degli Arabi se ei non produce portato che sia da noi, poiché non è altrimenti vero che gli Arabi lo risecchino ne’ forni, né nell’acqua bollente a tal fine, come alcuni spacciarono. L’albero del Caffè finalmente s’assomiglia agli aranci anche in ciò che nel tempo medesimo vi si vedono e fiori, e frutti, altri maturi, altri no, sebbene il tempo veramente della grande raccolta nell’Arabia, sia nel mese di Maggio. I fiori somigliano i gelsomini di Spagna, i frutti sembrano quei del ciliegio verdastri al bel principio, poi rossigni, indi nella maturanza d’un perfetto porporino.
Il nocciolo di esso frutto rinchiude due grani di Caffè, i quali si combaciano nella parte piena, e son nodriti da un filamento che passa loro al lungo, di che ne vediamo vestigio nel grano medesimo: si raccolgono i frutti maturi del Caffè scuotendone la pianta, essi non sono grati a cibarsene, si lasciano diseccare esposti al Sole, indi facendo passare sopra di essi un rotolo di sasso pesante si schiudono dopo i gusci, e ne esce il grano. Ogni pianta presso poco produce cinque libbre di Caffè all’anno, e costa sì poca cura il coltivarla, ch’egli è un prodotto che ci concede la terra con una generosità che poco usa negli altri.
Nell’oriente era in uso la bevanda del Caffè sino al tempo della presa di Costantinopoli fatta da’ Maomettani, cioè circa la metà del secolo decimo quinto; ma nell’Europa non è più di un secolo da che vi è nota. La più antica memoria che sen abbia è del 1644 anno in cui ne fu portato a Marsiglia, dove si stabilì la prima bottega del Caffè aperta in Europa l’anno 1671. La perfezione della bevanda del Caffè dipende primieramente dalla perfezione del Caffè medesimo, il quale vuol essere Arabo, e nell’Arabia stessa non ogni campo lo produce d’egual bontà, come non ogni spiaggia d’una provincia produce vini di forza eguale. Il migliore d’ogni altro è quello ch’io uso, cioè quello che si vende al Bazar, ossia al Mercato di Betelfaguy, città distante cento miglia circa da Mocha. Ivi gli Arabi delle campagne vicine portano il Caffè entro alcuni sacchi di paglia, e ne caricano i Cammelli; ivi per mezzo dei Banian i forestieri lo comprano. Comprasi pure il buon Caffè al Cairo, ed in Alessandria, dove vi è condotto dalle Carovane della Mecca. I grani del Caffè piccoli e di colore alquanto verdastri sono preferibili a tutti.
Dipende in secondo luogo la perfezione della bevanda nel modo di prepararla, ed io soglio abbrucciarlo appena quanto basti a macinarlo, indi reso ch’egli è in polvo entro una Caffettiera asciutta lo espongo di nuovo all’azione del fuoco, e poiché lo vedo fumare copiosamente gli verso sopra l’acqua bollente, cosicché la parte sulfurea e oleosa, appena per l’opera del fuoco si schiude della droga, resti assorbita tutta dall’acqua; ciò fatto lascio riposare il Caffè per un minuto, tanto che le parti terrestri della droga calino al fondo del vaso, indi profumata altra Caffettiera col fumo del legno d’Aloe verso in essa il Caffè che venite a prendere, e che trovate sì squisito. Il Caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto, e che coltivano le scienze. Alcuni giunsero perfino a paragonarlo al famoso Nepente tanto celebrato da Omero; e si raccontano de’ casi nei quali coll’uso del Caffè si son guarite delle febbri, e si son liberati persino alcuni avvelenati da un veleno coagulante il sangue; ed è sicura cosa che questa bibita infonde nel sangue un sal volatile, che ne accelera il moto, e lo dirada, e lo assottiglia, e in certa guisa lo ravviva.
Questa pianta animatrice, naturale per quanto sembra al suolo dell’Arabia, fu verso il fine dello scorso secolo dagli Olandesi trasportata nell’Isola di Java a Batavia, indi moltiplicatasi, ivi se ne dilatò dai medesimi la piantagione anche nell’Isola di Ceylan, poscia col tempo se ne portò in Europa; e in Olanda, e in Parigi per curiosità se ne coltivano le piante, le quali nelle serre riscaldate l’inverno reggono e producono frutti, e tanto sen è universalizzata la coltura presentemente, che nell’America, e nell’Indie Orientali se ne fa la raccolta, cosicché abbiamo Caffè di Surinam, dell’Isola Bourbon, di Cayenne, della Martinica, di S. Domingo, della Guadalupa, delle Antille, dell’Isola di Capo Verde. Il Caffè d’Arabia è il primo, quello dell’Indie Orientali vien dopo, il peggiore d’ogni altro è quello d’America. Così terminò di parlare Demetrio, ed io credetti al suo discorso, poiché lo trovai conforme a quanto ne aveva letto nelle Memorie dell’Accademia Reale delle Scienze di Parigi dell’anno 1713 in un Memoire del Sig. Jutricu, a quanto ce ne attestano i Viaggi dell’Arabia felice del Sig. La Roque, del Cav. Di Marchait, le Memorie del Sig. Garcin. Ma poiché ebbe terminato il suo ragionamento Demetrio, s’alzò il Curiale, e uscì dalla bottega ripetendo: Gran fatto, che quel legume del Caffè, quella fava, ci debba venire sino da Costantinopoli.